giovedì 16 agosto 2012

Il senso di Pechino per le Olimpiadi



Con 38 ori, 27 argenti e 22 bronzi, la Cina ha terminato le Olimpiadi di Londra tra la delusione per una performance nettamente inferiore rispetto a quella realizzata ai Giochi di Pechino (nel 2008 furono ben 51gli ori) e la valanga di polemiche che ha travolto il sistema sportivo cinese. E brucia, forse, sopra ogni altra cosa quel secondo posto alle spalle degli Stati Uniti, che con 46 ori hanno dominato ancora una volta il medagliere olimpico. Una rivalità, quella tra l'Aquila e il Dragone che, cristallizzata nel mondo dello sport, ha in realtà portata ben più ampia, e va dalle minacce di una "guerra commerciale" alle tensioni che continuano ad agitare la regione Asia-Pacifico.

Ma, nonostante la sconfitta inflitta dai 124 metalli Usa, tuttavia, la Cina è riuscita a battere 6 record mondiali, grazie a nuovi campioni quali il nuotatore Sun Yang che, il 31 luglio 2011, ha decretato il nuovo primato impiegando soli 14'31"02 nei 1500 metri stile libero. Una prestazione, questa, che corrisponde ad una media di quasi 58 secondi per ogni 100 metri.

"La Cina si è messa in mostra nel ping pong, nei tuffi nella ginnastica e nel badminton...e ora con Sun Yang e Ye Shiwen divampa anche il nuoto" ha scritto un utente di Sina Weibo, il principale sito di microblogging cinese.

Il bilancio delle Olimpiadi 2012, per il Dragone, arriva proprio dai numeri macinati dall'infosfera cinese. Secondo quanto riportato lunedì da China Real Time, sono stati circa 393 milioni i post inerenti ai Giochi di Londra pubblicati su Weibo contro i 150 milioni di Twitter, a conferma di come le competizioni sportive siano state seguite assiduamente nella Nazione più popolosa al mondo. E non solo per dare sostegno agli atleti.

Negli ultimi giorni accese critiche hanno investito in pieno il sistema sportivo cinese con particolare riferimento al misterioso Progetto 119, un piano di allenamento che miscela duri sacrifici ad una preparazione atletica meticolosa sin dai primi anni d'età e del quale, fino al 2002, veniva negata l'esistenza persino dal governo di Pechino. Rimasto dietro le quinte per anni, è finito sotto i riflettori durante le ultime Olimpiadi per il "caso Ye Shiwen", la sedicenne che ha battuto il record del mondo nei 400 misti nuotando più veloce persino dei colleghi maschi. "Questione di doping" si era detto in prima battuta, poi una volta risultata "pulita", dopo le dovute scuse della stampa occidentale e di tutti coloro che avevano dubitato (John Leonard, direttore esecutivo della World Swimming Coach Association e della USA Swimming Coach Association, in primis), gli strali sono stati diretti contro i metodi poco ortodossi con i quali il gigante asiatico forgia i suoi atleti, costretti a tagliare i legami con le proprie famiglie per dedicare tutta la loro vita al medagliere olimpico.

D'altra parte i precedenti del Dragone non sono buoni. Durante i Giochi Asiatici del 1994 sette atleti cinesi risultarono positivi agli steroidi, mentre quattro anni dopo, ai Campionati mondiali di Perth una nuotatrice fu scoperta ad aver assunto ingenti dosi di ormoni per la crescita.

Sebbene i Giochi di Londra siano stati scanditi dalle lamentele di Pechino vittima -a dire delle autorità cinesi- di un presunto complottismo "made in Occidente", qualche dubbio sul sistema di allenamento è stato avanzato persino dal Global Times, voce ufficiale del Pcc. "E' difficile dire se questo (sistema) sia un vantaggio o di un difetto del Paese" commentava in data 13 agosto il quotidiano ultranazionalista.

Ma quello della giovane nuotatrice di Hangzhou non è stato l'unico episodio chiacchierato e di Cina si è tornato a parlare più volte in questi ultimi tempi, forse ancora più che durante le Olimpiadi del 2008 disputatesi proprio a Pechino. Molto ha fatto discutere la squalifica delle giocatrici di badminton Yu Yang e Wang Xiaoli, accusate insieme alle loro colleghe di Corea del Sud e Indonesia di aver perso volutamente alcuni incontri per garantirsi in seguito partite più facili. Dopo le scuse ufficiali trasmesse dalla televisione di Stato cinese, le atlete avrebbero raccontato su internet di aver deciso di abbandonare il gioco in quanto costrette a partecipare alle Olimpiadi benché infortunate. E poi è stata la volta di Wu Jingbiao che, costernato per aver vinto "solo" un argento nel sollevamento pesi, ha chiesto perdono al proprio team e al Paese intero e di Liu Xiang, lo sfortunato atleta inciampato al primo ostacolo nella gara sui 100 metri. Proprio l'episodio che ha visto protagonista "Figlio del Vento" ha gettato ulteriore benzina sul fuoco: molti hanno criticato i funzionari sportivi per aver spinto il campione di Atene 2004 a partecipare ai Giochi di Londra, anche se chiaramente in condizioni fisiche non ottimali.

Il prezzo del successo 
Il 28 luglio Al Jazeera ha fatto luce sulle vite degli atleti cinesi, quelli caduti in disgrazia e relegati nel dimenticatoio dopo un inizio spumeggiante. Zhang Shangwu è uno di questi. Giovane promessa dell'atletica e due volte medaglia d'oro alle Universiade, oggi sopravvive mendicando per le strade di Pechino; un problema al tendine d'Achille ne stroncò la carriera nel 2003.
Secondo alcune stime, ogni anno in Cina si ritirano circa 3.000 atleti professionisti di cui solo un terzo riesce a trovare un lavoro sostitutivo adeguato. Colpa in buona parte dello Stato, che ne trascura la formazione scolastica -la maggior parte degli sportivi "di professione" non termina gli studi- mentre  non esita a tagliare gli stipendi degli atleti in pensione, senza tener conto delle loro condizioni fisiche.

La situazione allarmante ha indotto alcuni insider a prendere provvedimenti. L'ex stella del basket Yao Ming, per esempio, nel 2009 ha proceduto all'acquisto degli Shanghai Sharks -squadra con la quale cominciò a muovere i primi passi sul parquet- prendendo in prestito allenatori NBA per contribuire a rinnovarne il programma di formazione. Sang Lan, ginnasta paralizzato dalla vita in giù in seguito ad un tragico incidente alla vigilia dei Giochi di Godwill nel 1998, dieci anni dopo scrisse una lettera al Primo Ministro Wen Jiabao invocando una maggior assistenza sanitaria per gli atleti.

Nel Regno di Mezzo il prezzo del successo sportivo è salatissimo; e non solo per via delle pesanti rinunce che occorre fronteggiare. Secondo quanto riportato dai media locali, due anni di training per plasmare un campione quale Sun Yang sarebbero costati ben 1,57 milioni di dollari; una somma non indifferente per un Paese in cui il reddito pro capite è di circa 7500 dollari.

Così passano gli anni ma il dibattito continua ad infuriare su un sistema che tratta gli atleti come "macchine sforna ori", andando contro il vero spirito olimpico, mentre Pechino si lascia andare sempre più spesso al vittimismo. La risposta agli ultimi "attacchi" da oltremare è arrivata via People's Daily, megafono del Partito, che proprio lunedì scorso sottolineava come "l'Occidente è sempre presente con orgoglio e pregiudizio intrinseco". La propagazione di "notizie distorte e infondate" sulla partecipazione del Dragone alle Olimpiadi ricorda quanto sia difficile l'integrazione della Cina nel mondo, scriveva il quotidiano.

Non solo critiche: un tappeto rosso per il Dragone
Sebbene parzialmente motivati, è evidente che i sospetti verso l'ex Impero Celeste crescono di pari passo con la sua avanzata incalzante sullo scacchiere internazionale, che ne fa un temuto rivale e allo stesso tempo un potenziale prezioso alleato. La Gran Bretagna non ha mancato di tirare acqua al proprio mulino, sfruttando le Olimpiadi per cementare i propri rapporti con la seconda economia mondiale. Approfittando dell'attenzione esercitata dai Giochi di Londra a livello globale, il paese ha organizzato più di una dozzina di vertici aziendali, tra i quali il China Business Day, evento dedicato a sponsorizzare le opportunità di business cinese nel Regno Unito.

Degli 8000 giornalisti accreditati giunti a Londra per coprire la manifestazione sportiva, 700 provenivano proprio dalla Cina. Non stupisce, quindi, la pianificazione a tavolino di meeting tra reporter del Regno di Mezzo e importanti organizzazioni locali quali l'agenzia London & Partners, la Greater London Authority (GLA) e la Camera di Commercio di Londra.

Per il Regno Unito il Dragone è il secondo investitore dopo gli Stati Uniti. Nel 2011 Londra e Pechino hanno avviato più di 30 progetti d'investimento volti a promuovere 550 nuove opportunità di lavoro nel mercato dei software, nei servizi finanziari, industrie creative e vendite al dettaglio.
Il messaggio portato dagli imprenditori d'Oriente è suonato come musica alle orecchie anglosassoni. Il 25 luglio scorso, alla vigilia delle Olimpiadi, una delegazione della China Entrepreneur Club ha incontrato il Primo Ministro inglese David Cameron; e a raggiungere il numero 10 di Downing Street è stato persino Liu Chuanzhi, fondatore di Lenovo, secondo produttore al mondo di personal computer.

Ora che l'economia cinese sta scivolando verso un approccio consumer driven,  gli imprenditori d'oltre Muraglia sono in cerca di partner britannici. Il settore del lusso ha già tratto grandi benefici, tanto che gli affari con la Cina sono cresciuti nove volte rispetto a quattro anni fa, ha spiegato ai microfoni di Caixin Michael Ward, managing director del noto grande magazzino a cinque stelle Harrods.

Tra vittorie e sconfitte...
Soppesando vittorie e sconfitte, le Olimpiadi sembrano essere state, tuttavia, una buona cosa per la Cina. "I Giochi olimpici hanno messo in mostra un paese scosso da una confusione di valori contrastanti. Ma sono emersi anche dibattiti interessanti, che guideranno la Nazione verso un futuro migliore" ha sentenziato il Global Times.

E forse la vittoria di Qieyang Shenjie, alias Choeyang Kyi, prima atleta tibetana a partecipare alle Olimpiadi e a salire sul podio con un bronzo nella 20 chilometri di marcia, meglio riassume le tante ferite dolenti che tormentano ancora il Dragone.
"Sono molto onorata di aver rappresentato per prima il Tibet alle Olimpiadi" ha affermato Qieyang. Iscritta al Partito e fervente buddhista,  ha partecipato ai Giochi di Londra sotto i colori della Cina, mentre proprio in quei giorni il numero delle autoimmolazioni tibetane contro Pechino continuava a salire.

(Scritto per Uno Sguardo al Femminile)

Leggi anche: Alla ricerca "dell'oro"

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