venerdì 5 ottobre 2012

In Cina la crisi si chiama corruzione


"La Cina non cresce per colpa della corruzione, non a causa della crisi finanziaria internazionale". Con queste parole Wu Jinglian, ottantenne ex braccio destro di Deng Xiaoping, spiegava, ad aprile, il rallentamento della locomotiva cinese. Solo un paio di settimane prima, Bo Xilai, era stato rimosso dall'incarico di Segretario di Chongqing, il mese seguente sospeso dal Politburo per "gravi violazioni della disciplina". Alcuni giorni fa espulso dal Partito con l'accusa di corruzione, favoreggiamento, abuso di potere e altri crimini. Lo ha annunciato l'agenzia di stampa statale Xinhua, venerdì 28 settembre, attraverso un comunicato ridondante, di cui buona metà verte sull'impegno assunto dal Partito nella lotta alla corruzione.

Sullo sfondo l'omicidio dell'uomo d'affari Neil Heywood, per il quale Gu Kailai, moglie di Bo, è stata condannata alla pena di morte sospesa e il cui movente è stato ufficialmente individuato in una lite per motivi d'affari. Vite dissolute, diverse/i amanti e trasferimenti di denaro illecito all'estero gettano ombre sul clan dei Bo, mentre secondo i media di Hong Kong, il "principe rosso" di Chongqing avrebbe intascato almeno 20 milioni di yuan (quasi 2milioni e mezzo di euro) di mazzette a partire dagli anni '90, quando era ancora sindaco di Dalian, città portuale nella provincia del Liaoning. Il che, secondo gli analisti, gli costerà non meno di 20 anni di carcere.

Ad aiutare i pronostici sulla sorte del "Nuovo Mao" una serie di casi del passato, che vanno dalla condanna a 16 e 18 anni dei due Chen (Chen Xitong e Chen Liangyu, rispettivamente ex sindaco di Pechino e di Shanghai, epurati e incarcerati con l'accusa di corruzione, seppur ritenuti vittime di lotte tra fazioni rivali interne al Partito) al caso di Cheng Kejie, ex vicepresidente del Comitato permanente dell'Assemblea Nazionale del Popolo, condannato nel 2000 alla pena capitale per aver accettato tangenti pari a 41 milioni di yuan (quasi 5 milioni di euro).

Eppure, nonostante gli illustri predecessori, Bo è, comunque, il politico cinese di più alto rango a venire processato per crimini dopo i membri della Banda dei Quattro (1981). Il suo tracollo assesta un duro colpo alla nuova sinistra cinese -di cui era il leader- distintasi più dell'ala liberale nel mettere sotto accusa la corruzione della classe politica e nel condannare il gap tra ricchi e poveri. Quanto alle amanti, quelle, fa notare l'agenzia di stampa Bloomberg, abbondavano anche nel letto del Grande Timoniere e non è da escludere che la scelta di parlare in modo vago di "rapporti sessuali impropri con un numero imprecisato di donne" -come si legge nell'annuncio ufficiale sull'espulsione di Bo pubblicato dalla Xinhua- abbia avuto lo scopo di rapire l'attenzione generale con il pettegolezzo al fine di distoglierla dalla portata effettiva dei crimini commessi. D'altra parte c'è anche chi del proprio harem si è fatto vanto, come Lin Longfei, funzionario corrotto del Fujian, che nel 2002 ha bandito un concorso per eleggere la migliore tra le sue 22 amanti.

Ma se davanti agli appetiti sessuali dei propri quadri il Partito può chiudere un occhio, difronte alle ingenti somme sottratte alle casse dello Stato la legge cinese non concede sconti. Sopratutto da quando il fattore corruzione si è rivelato essere uno dei principali motivi di malcontento popolare, come dimostra la protesta anti-casta andata in scena nella città di Canton lo scorso aprile. Tra le richieste dei manifestanti scesi in strada "Uguaglianza, giustizia, libertà, diritti umani, Stato di diritto, democrazia". Solo il mese precedente, 180 utenti internet avevano firmato una petizione invitando il governo a rendere noti i propri patrimoni economici, venendo in seguito invitati dalle autorità a "bere un tazza di tè", formula che in Cina si usa per un interrogatorio informale.

Dall'inizio del 2012 diversi pesci grossi sono caduti nella rete della giustizia d'oltre Muraglia. Solo a giugno Tao Liming, presidente della Banca depositi postali cinese, Chen Hongping, capo di una delle divisioni dell'istituto e Yang Kun, vice presidente della Banca dell'Agricoltura sono finiti in manette. A questi vanno aggiunti 102 funzionari dello Shandong purgati per violazione delle leggi e dei regolamenti interni.

Nel mese di maggio, invece, era stata la volta del potente ministro delle Ferrovie promotore dell'alta velocità, Liu Zhijun, espulso dal Partito dopo essere risultato "moralmente corrotto". Finito in una spirale scandalistica dopo l'incidente di Wenzhou, nel luglio 2011, si sarebbe macchiato di “gravi violazioni disciplinari e abuso di potere”, come sentenziato dalla Commissione Centrale per l'Ispezione della Disciplina (CDI). Di lui si dice avesse 18 amanti.

Per combattere la piaga della corruzione, che si annida in gran parte tra le file dell'esercito, alla fine di giugno i vertici militari hanno approvato un emendamento in base al quale gli alti ufficiali dovranno rendere pubblici i propri patrimoni. Una mossa, secondo alcuni, voluta proprio dal presidente Hu Jintao per assicurare al suo erede Xi Jinping una successione "armoniosa", senza sgambetti da parte degli uomini di Jiang Zemin, il grande vecchio della politica cinese ancora influente tra i ranghi dell'esercito. Quasi negli stessi giorni il governo cinese dichiarava battaglia alla corruzione pubblicando un set di quattro libri intitolato "Studio sull'integrità morale dei funzionari nella Cina antica e contemporanea". Una lotta a colpi di proverbi e citazioni filosofiche tratte dai classici confuciani e taoisti. Ad azzittire, forse, l'articolo pubblicato il 29 maggio dal Global Times, tabloid in lingua inglese legato al Quotidiano del Popolo, megafono del Pcc, nel quale con toni giustificatori la corruzione veniva definita un male da comprendere e tollerare perché "in Cina i tempi non sono ancora maturi per sbarazzarsi del tutto del problema".

D'altra parte, proprio poco dopo il siluramento di Bo Xilai, lo scorso aprile, il premier Wen Jiabao aveva scritto di proprio pugno un editoriale nel quale ripercorreva i successi ottenuti dal governo nella campagna anti-corruzione e tracciava gli obiettivi da raggiungere entro la fine dell'anno ("Lasciate che il potere sia esercitato alla luce del sole"). Poi a fine estate un annuncio del Comitato Centrale del Pcc non ha fatto che confermare la linea anticipata dal Primo Ministro: durante il prossimo Congresso, in agenda per l'8 novembre, verrà messo a punto un nuovo piano-quinquennale anti-corruzione. Quello precedente, a quanto pare, è stato un fallimento. Pechino lo ha praticamente ammesso il 6 giugno scorso, confessando che all'interno del Partito ci sono almeno 40 mila dirigenti corrotti, mentre -secondo un rapporto pubblicato nel 2011 da People's Bank of China- negli ultimi 20 anni oltre 18mila quadri sono fuggiti all'estero, portando oltremare una somma pari a 100 miliardi di euro. Di più: come riportava tempo fa Lettera43, con un totale di 2 trilioni di euro fatti uscire illegalmente tra il 2000 e il 2009, il Dragone guida la classifica nera stilata dal Global Financial Integrity, organizzazione di ricerca e advocacy che promuove una maggiore trasparenza del sistema finanziario internazionale. Tra gli ultimi della serie "prendi i soldi e scappa" Wang Guoqiang, ex capo del Partito di Fengcheng, fuggito ad aprile negli Stati Uniti con un bottino da 200 milioni di yuan (oltre 25milioni di euro).

Ma se il numero dei funzionari corrotti è in netta impennata, l'impegno assunto, sinora, dalle autorità per arginare il problema non convince. A suggerirlo sono i dati dell'Ufficio Nazionale di Statistica, secondo il quale, nell'ultima decade, si è registrato un calo del 26% degli indagati. In Cina, nel 2010, "soltanto" 3603 persone sono finite sotto inchiesta per appropriazione indebita di fondi pubblici contro le 11.068 di dieci anni prima.

"Un tempo venivamo truffati senza saperlo, ora veniamo truffati e ne siamo coscienti. Questo è tutto il progresso che abbiamo fatto" ha commentato sarcasticamente Zhang Bingjian, artista e regista cinese che nella corruzione ha trovato una fonte d'ispirazione. "Hall of Fame", ne è il frutto: una collezione che oggi conta circa 1600 ritratti di funzionari cinesi corrotti dipinti in rosa, il colore dei biglietti da 100 yuan. "La bellezza del pezzo sta nel fatto che è aperto" spiega Zhang "Non puoi sapere quando sarà finito. Probabilmente si arriverà a 10mila, 100mila (ritratti), chissà! Ogni giorno la collezione si arricchisce di nuove persone famose".

(Pubblicato in forma ridotta su Ghigliottina.it)









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